IL VINO DI ORVIETO LA SUA GRANDE FAMA
La rinomanza conquistata dal vino di Orvieto in epoca etrusca tornò a brillare e a diffondersi in epoca medievale e rinascimentale grazie a vescovi, cardinali e papi che soggiornarono più o meno a lungo nella città o nei suoi dintorni. Pontefici come Adriano IV, Urbano IV, Martino IV, Clemente VII scelsero Orvieto per sfuggire alle insidie della Roma papale e negli anni in cui Orvieto fu residenza pontificia, verso Roma venivano spesso inviati fusti del celebre vino destinati a importanti personaggi. Il vino di Orvieto comincia allora a essere definito e conosciuto come "vino dei papi".
Tanti sono gli aneddoti che raccontano come la qualità del vino di Orvieto sia stata sempre apprezzata da noti intenditori.
Papa Paolo III Farnese lo preferiva ad ogni altro e Gregorio XVI volle che il suo corpo fosse lavato con questo vino prima della sepoltura. Ben conosciuto è inoltre il ruolo che il vino ebbe nella costruzione del Duomo di Orvieto. I maestri che lavorarono nella cava del Monte Piso per estrarre e sgrezzare la pietra di travertino ne acquistarono in grandi quantità insieme alle panatelle, per poterlo degustare mentre erano lontani da Orvieto. La stessa Opera del Duomo lo regalava in molte occasioni, ad esempio a compimento di lavori importanti del cantiere. Tuttavia, il dato che più colpisce è trovarlo espressamente richiesto nei contratti di lavoro sotto forma di pagamento. Nel 1496 l’accordo stipulato tra l'Opera del Duomo e il Pinturicchio concede all’artista "sei quartenghi di grano per ogni anno... e il vino necessario". Nel 1500, nel contratto stipulato tra l'Opera del Duomo e Luca Signorelli per la realizzazione degli affreschi della Cappella di San Brizio, è scritto che l'Opera era tenuta a consegnargli ogni anno 12 some di vino (circa 1000 litri).
Più avanti nei secoli, la fama del vino di orvieto è espressa - in modo sagace e divertente- nella petizione presentata per voce di Pasquino a Papa Paolo V Borghese in occasione dell'inaugurazione dell'acquedotto romano all'Acqua Marcia (fine del 1600):
“Il miracolo è fatto, o Padre Santo,
con l'acqua vostra che ci piace tanto;
ma sarebbe portento assai più lieto,
se l'acqua la cangiaste in vin d'Orvieto.”
Giuseppe Gioacchino Belli nelle Regole contro le ubriacature - sonetto del 1835 - sottolinea come il "bianco di Orvieto" fosse considerato "il vino delle grandi occasioni" per le sue eminenti qualità rispetto ai vini comuni e fosse destinato esclusivamente alle tavole dei potenti e di coloro che ne potevano pagare l'alto prezzo.
Procedendo con testimonianze ancor più vicine alla nostra epoca, si sa che il vino di Orvieto fu usato da Garibaldi e dai suoi Mille, prima di lasciare il porto di Talamone, per brindare all'avventura siciliana. Un valoroso ufficiale toscano, Giuseppe Bandi, segretario particolare del generale, così narra : "La mia comparsa fu salutata con un grido dagli amici e da quell'ottimo uomo del Generale (Garibaldi). Mi fé cenno di avvicinarmi a lui e porgendomi un bicchiere colmo di vino d'Orvieto mi disse: bevete anche voi alla buona fortuna d'Italia".
Ed è vanto per gli orvietani che Sigmund Freud, in visita a Orvieto nel 1897, scrivendo una cartolina alla moglie Martha, le parlasse del Duomo e del vino definendolo "famoso" e "simile al Porto": accostamento che può apparire curioso, ma che in realtà evidenzia la caratteristica prevalente dell'Orvieto di una volta, quella di un vino dolce da altri paragonato al passito per eccellenza, il Sauternes francese.
La rinomanza conquistata dal vino di Orvieto in epoca etrusca tornò a brillare e a diffondersi in epoca medievale e rinascimentale grazie a vescovi, cardinali e papi che soggiornarono più o meno a lungo nella città o nei suoi dintorni. Pontefici come Adriano IV, Urbano IV, Martino IV, Clemente VII scelsero Orvieto per sfuggire alle insidie della Roma papale e negli anni in cui Orvieto fu residenza pontificia, verso Roma venivano spesso inviati fusti del celebre vino destinati a importanti personaggi. Il vino di Orvieto comincia allora a essere definito e conosciuto come "vino dei papi".
Tanti sono gli aneddoti che raccontano come la qualità del vino di Orvieto sia stata sempre apprezzata da noti intenditori.
Papa Paolo III Farnese lo preferiva ad ogni altro e Gregorio XVI volle che il suo corpo fosse lavato con questo vino prima della sepoltura. Ben conosciuto è inoltre il ruolo che il vino ebbe nella costruzione del Duomo di Orvieto. I maestri che lavorarono nella cava del Monte Piso per estrarre e sgrezzare la pietra di travertino ne acquistarono in grandi quantità insieme alle panatelle, per poterlo degustare mentre erano lontani da Orvieto. La stessa Opera del Duomo lo regalava in molte occasioni, ad esempio a compimento di lavori importanti del cantiere. Tuttavia, il dato che più colpisce è trovarlo espressamente richiesto nei contratti di lavoro sotto forma di pagamento. Nel 1496 l’accordo stipulato tra l'Opera del Duomo e il Pinturicchio concede all’artista "sei quartenghi di grano per ogni anno... e il vino necessario". Nel 1500, nel contratto stipulato tra l'Opera del Duomo e Luca Signorelli per la realizzazione degli affreschi della Cappella di San Brizio, è scritto che l'Opera era tenuta a consegnargli ogni anno 12 some di vino (circa 1000 litri).
Più avanti nei secoli, la fama del vino di orvieto è espressa - in modo sagace e divertente- nella petizione presentata per voce di Pasquino a Papa Paolo V Borghese in occasione dell'inaugurazione dell'acquedotto romano all'Acqua Marcia (fine del 1600):
“Il miracolo è fatto, o Padre Santo,
con l'acqua vostra che ci piace tanto;
ma sarebbe portento assai più lieto,
se l'acqua la cangiaste in vin d'Orvieto.”
Giuseppe Gioacchino Belli nelle Regole contro le ubriacature - sonetto del 1835 - sottolinea come il "bianco di Orvieto" fosse considerato "il vino delle grandi occasioni" per le sue eminenti qualità rispetto ai vini comuni e fosse destinato esclusivamente alle tavole dei potenti e di coloro che ne potevano pagare l'alto prezzo.
Procedendo con testimonianze ancor più vicine alla nostra epoca, si sa che il vino di Orvieto fu usato da Garibaldi e dai suoi Mille, prima di lasciare il porto di Talamone, per brindare all'avventura siciliana. Un valoroso ufficiale toscano, Giuseppe Bandi, segretario particolare del generale, così narra : "La mia comparsa fu salutata con un grido dagli amici e da quell'ottimo uomo del Generale (Garibaldi). Mi fé cenno di avvicinarmi a lui e porgendomi un bicchiere colmo di vino d'Orvieto mi disse: bevete anche voi alla buona fortuna d'Italia".
Ed è vanto per gli orvietani che Sigmund Freud, in visita a Orvieto nel 1897, scrivendo una cartolina alla moglie Martha, le parlasse del Duomo e del vino definendolo "famoso" e "simile al Porto": accostamento che può apparire curioso, ma che in realtà evidenzia la caratteristica prevalente dell'Orvieto di una volta, quella di un vino dolce da altri paragonato al passito per eccellenza, il Sauternes francese.